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Postfazione di Paolo de Vita
Quando Luigi Maria Sicca mi ha sottoposto questo breve scritto, sollecitandomi qualche (non so quanto utile) commento, gli ho chiesto se si trattasse di un saggio “accademico” o di una lettura divulgativa: cambia infatti in questi diversi casi il “cappello” che chi si appresta a commentare un libro indossa e crede di dover tenere sulla testa. Quando ho saputo che lo scritto era rivolto ad un pubblico certamente più ampio di quello accademico e connotato da interessi più musicali-culturali che non “organizzativistico-aziendali”, mi sono riproposto di commentarlo in questa ottica. Cosa che volentieri provo a fare.
Le considerazioni emerse leggendo le pagine di Organizzazione e Musica sono pertanto principalmente di carattere personale; attengono cioè all’esperienza ed al vissuto di chi, come me, ha avuto modo di conoscere, toccare ed essere toccato da un’istituzione come l’Associazione Alessandro Scarlatti, non in veste di socio, né di collaboratore, né di amministratore, né di operatore, ma semplicemente di fruitore di molti suoi “prodotti”, ed anche come componente di quell’ambiente di stakeholder, che contribuiscono (nella loro dimensione collettiva) ad “ascoltare” ma anche a condizionare, talvolta inconsapevolmente, l’attività di un’organizzazione come questa.
Un primo punto essenziale, o comunque determinante nel modo in cui tendo a “posizionare” la Scarlatti nel personale quadro di percezioni e di valori, è stato il primo contatto avuto con l’Associazione quando, neolaureato alle prime esperienze di lavoro precario in Università, quando nell’ormai (ahimè) lontano 1975, fui trascinato dal mio caro amico e collega Raffaele Cercola alle prove dei Concerti Bandeburghesi, nelle sale stuccate e dorate di Villa Pignatelli, alla Riviera di Chiaia. Fino ad allora la mia passione musicale (rivolta prevalentemente al rock inglese e americano dell’epoca) mi aveva avvicinato in maniera soltanto “intellettuale” e distaccata al genere classico (letture, ascolto di dischi, qualche rara incursione operistica), ma quell’esperienza fu straordinaria. Il contatto fisico e ravvicinato con l’intangibilità della musica (che invece si materializzava attraverso la lettura - un po’ difficile per un miope - dello spartito a poca distanza), gli sguardi e le battute a volte sagaci a volte semplici e ingenue di musicisti del calibro di Accardo, Giuranna, Canino, Meunier, Asciolla, Petracchi, l’ascolto e il riascolto a volte ostinato di poche battute o passaggi critici, la possibilità di capire - seppure in minima parte - le ragioni di una scelta timbrica o stilistica, mi fecero improvvisamente entrare in una dimensione di percezioni, stimoli, emozioni fino ad allora per me del tutto estranei all’ascolto musicale. Questa piccola ma entusiasmante “rivelazione” personale ebbe poi ricadute importanti nella mia successiva frequentazione delle sale e delle letture musicali, nella registrazione di brani, nelle ricerche di materiale, e così via. Pensare che durante e soprattutto prima dell’esecuzione di quei brani vi fossero stati scambi, interazioni umane e non solo tecniche, e dunque il vissuto di un rapporto quotidiano personale tra i musicisti (magari non sempre e non necessariamente sereno e gioviale), contribuiva a rendermi meno “pubblico” e più “pro-sumer”, consumatore coinvolto in un processo innovativo, appagante e arricchente di produzione-fruizione della materia musicale. Fu questo il primo regalo che la Scarlatti (certamente senza saperlo) mi fece nel 1975.
Questo strano (ma non raro) meccanismo che probabilmente ha coinvolto tanti altri visitatori delle prove delle Settimane di Musica d’Insieme della Scarlatti in quegli anni e negli anni successivi fino al 1994 (purtroppo, ma forse era giusto così…) sollecita una seconda questione che si collega ad uno dei quesiti finali che Sicca, in quanto studioso di azienda e dunque di temi economici, pone a noi ma ancor prima a se stesso, a proposito del ruolo socio-economico delle arti ed in particolare della musica, e di organizzazioni come l’Associazione A. Scarlatti di Napoli: le questioni poste sulle metodologie e ancor più sul senso stesso della valutazione d’impatto economico della manifestazione artistica come leva diretta o indiretta dello sviluppo economico, seppure riflettono una dimensione scientifica non trascurabile, sembrano tuttavia doversi porre in secondo piano rispetto alle ricadute “immateriali” che si vengono invece a produrre nella dimensione puramente “culturale”, come contributo all’arricchimento del patrimonio di conoscenza e di cultura di un individuo e di una collettività, al di là della creazione di posti di lavoro, di fatturati di attività turistiche o discografiche, di bilancia dei pagamenti.
Il diritto dell’arte e della musica di essere studiata dalle scienze economico-sociali non può e non deve derivare soltanto dalla constatazione delle prospettive di una sua ricaduta economica in senso monetario, ma piuttosto dal riconoscimento del suo ruolo di motore di “trasformazione“ culturale.
La trasformazione che un processo di produzione-distribuzione di un bene immateriale (come la musica) può contribuire a generare nella testa delle persone e nel loro modo di riconoscersi con gli altri, di identificarsi ma anche di differenziarsi, di comunicare, di superare i confini del locale, di riuscire ad appropriarsi di un linguaggio universale diverso dall’inglese di internet, è il vero risultato primario, il vero valore, di quel processo di produzione, di cui riteniamo si debba sempre essere grati a chi lo promuove e lo sostiene.
E si viene così al terzo punto, meno nostalgico e personale, ma forse più crudo e materiale, che è un liet-motiv comune alla Scarlatti come a qualsiasi altro ente musicale italiano: il tema del sostentamento, della continuità, della capacità di attrarre risorse economiche per sopravvivere e possibilmente crescere. Note queste che in Italia sono quasi sempre “dolenti” per qualsiasi ente, associazione privata, scuola, accademia musicale, in rapporto non tanto alla complessità del sistema economico-amministrativo in cui tali organismi si trovano ad esistere, quanto dello scenario culturale complessivo che li pone comunque in posizione oggettivamente subalterna rispetto ad altre priorità, sia nelle scelte di politica economica e sociale, sia nei comportamenti e preferenze dei singoli cittadini-utenti. La musica, e quella classica in particolare, occupa ancora un posto non di primissimo piano nelle preferenze del grande pubblico, non solo dei più giovani: è questo forse “il” tema su cui il nostro Paese deve confrontarsi con il resto del mondo e soprattutto con gli stessi suoi più vicini partner europei, dove la percentuale di bambini in grado di suonare uno strumento è tremendamente superiore a quella italiana e dove la quantità di sale ed occasioni di spettacolo in cui le persone sono messe in grado e “guidate” con creatività ed intelligenza a prendere contatto con la musica, non solo popolare, è enormemente più alta.
In questo scenario emerge certamente il ruolo essenziale di imprenditori illuminati come l’ingegner Cenzato, o la Signora Emilia Gubitosi, ma questo, a nostro avviso, purtroppo non basta. Le piccole dimensioni della ricaduta in termini di quantità di pubblico fruitore (qualche migliaio di persone in una metropoli come Napoli, ad esempio) di queste meritevoli e meravigliose iniziative, stanno a dimostrare che il bisogno di pressioni, sollecitazioni e spinte organizzative e materiali verso un crescente rafforzamento della cultura “per” la musica è ancora gigantesco: la prima “trasformazione” alla base di un circolo virtuoso nuovo e generatore di effetti non solo qualitativamente ma anche quantitativamente consistenti viene proprio dal lato dei portatori di energie organizzative e politiche prima ancora che economiche, volte al recupero di una centralità che dal livello delle nicchie di eccellenza (comunque ammirevoli e degne in ogni caso della massima attenzione) passi a quello della costruzione di una piattaforma comune di un popolo: come farlo? E’ questo un interrogativo che lasciamo sospeso anche noi, aggiungendolo (non per malavoglia) a quelli già posti da Luigi Maria Sicca, e rispetto ai quali le risposte possibili sono tante, diverse, e forse non sempre in sintonia con i comportamenti evidenti di “attori” che dovrebbero in tal senso rappresentare un riferimento sicuro, ma che invece spesso rivelano indifferenza se non sospetto o avversione verso percorsi di trasformazione in tal senso della nostra società.
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Subjects
Music, Societies, Associazione Alessandro ScarlattiShowing 1 featured edition. View all 1 editions?
Edition | Availability |
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1
Organizzazione e musica: il caso Associazione Alessandro Scarlatti
2006, Arte tipografica
in Italian
8889776242 9788889776247
|
aaaa
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Book Details
Edition Notes
Associazione Alessandro Scarlatti, Naples.
Includes bibliographical references.
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- Created October 21, 2008
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