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Marco Cima pubblica il terzo romanzo senza tradire la sua vocazione di scrittore profondamente legato al Canavese. Dopo “La casa dei Colli” e “Il segreto del codice miniato”, l’autore avvicina il grande pubblico, com’è sua abitudine, con una storia vera ricostruita in forma di romanzo. La vicenda è incentrata su un fatto di cronaca che si sviluppa tra la primavera del 1701 e il corrispondente periodo dell’anno successivo, nel Piemonte in stato pre-bellico per l’incipienza di una terribile guerra che condurrà le truppe di occupazione a scorrazzare per le sue terre.
Il fulcro della vicenda è la valle Soana, ma molti fatti accadono nel contesto più ampio: a Pont, a Cuorgné o a Castellamonte. Sullo sfondo: Fucine e assaggi di miniera in una delle più suggestive valli del Gran Paradiso, oltre alla monumentale fabbrica di paioli in rame di Glaudo Calvi a Ronco, recentemente trasformata in museo dal Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Le Alpi, con la loro cospicua presenza continentale, rappresentano un ambiente appartato, spesso marginale, nell’ambito del quale si conservano, più che altrove, tradizioni e retaggi culturali antichi, così come un’innata fierezza della gente, talora motivo di avversione alle istituzioni e alle loro regole. Gli uomini della montagna, forgiati dalla severità dell’ambiente, si sentono più liberi ed è su questa presunta maggiore libertà che s’innesta un fatto di cronaca con conseguenze molto gravi, ispiratore del romanzo. L’autore, con l’occasione, ricostruisce l’ambiente sociale e la mentalità della gente delle montagne canavesane tra XVII e XVIII secolo. Completa l’opera, un’affascinante ricostruzione etnografica dei luoghi e delle attività agro-pastorali e artigianali.
Per rendere più avvincente la storia, Marco Cima inventa un minuscolo personaggio testimone-protagonista di una successione impressionante di fatti, tali da preoccupare le massime autorità del ducato.
Viceversa, tra le pagine del romanzo si vedono passare molti personaggi storici come il conte Carlo Morizio Valperga, altezzoso feudatario del luogo, il suo vicario Giorgio Reordino, oppure il colonnello di cavalleria Trottis, che per diversi mesi acquartiera il suo distaccamento a Cuorgné, ma anche l’umile credendario Giovan Battista Ferpot, coinvolto suo malgrado nei fatti di cronaca, o il luogotenente Bartolomeo Rocho.
Il romanzo è steso in una buona prosa fluente e la narrazione sapiente rende particolarmente gradevole la lettura.
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"Alessandro aveva detto “aspettami qui”, e lui, fedele alla consegna del barba (zio), non si era mosso di un palmo. Gli era costato non scappare tra i banchi del mercato e lasciarsi prendere dai mille aromi di cui si ammantava Pont il lunedì, quando centinaia di bancarelle invadevano la Rua e i portici, colorandone le prospettive affollate. Dalla sua postazione d’attesa percepiva con chiarezza soltanto l’aroma delle acciughe in salamoia, che si sprigionava da un barile, nel quale il negoziante infilava di tanto in tanto la mano destra e ne traeva un piccolo carico penzolante e odoroso, poi lo ripiegava in un minuscolo cartoccio di foglie palmate, simili a quelle delle viti e lo poneva nelle mani dell’avventore. Quell’aroma intenso gli procurava degli spasmi che scavavano lo stomaco in profondità, fino alle viscere e lo stimolo prepotente della fame lo assaliva facendolo deglutire ripetutamente."
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Volume rilegato in brossura.
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- Created February 3, 2009
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May 26, 2009 | Edited by 79.14.196.131 | Edited without comment. |
February 3, 2009 | Created by 79.14.196.131 | Edited without comment. |